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Bruxelles (ANSA) – Lo scontro sulla Corte dei Conti sale di livello e cambia location: da Roma all’Europa. La Commissione Europea ha annunciato di voler accendere un faro sulla vicenda, spiegando, attraverso un suo portavoce, che “monitorerà con attenzione” lo sviluppo della misura decisa per limitare il controllo preventivo sulla spesa dei fondi del Pnrr. Per Giorgia Meloni, l’intervento di Bruxelles è stato, usando un eufemismo, quantomeno scomposto. Le considerazioni di un portavoce della Commissione – ha scandito Palazzo Chigi in una nota – “alimentano polemiche politiche strumentali che non corrispondono alla realtà”.

In mattinata, rispondendo ad una domanda nel briefing quotidiano con la stampa, Bruxelles aveva spiegato che, poiché si tratta di un progetto di legge, non vi sono gli estremi “per entrare nel dettaglio” e dunque si seguiranno gli sviluppi della norma. In linea generale “i sistemi di controllo nazionali costituiscono i meccanismi principali per proteggere gli interessi finanziari dell’Ue e sono gli Stati membri che devono assicurarsi che non ci siano conflitti d’interesse e o frodi”, aveva spiegato il portavoce, sottolineando che “l’Italia ha un sistema di controllo solido”. Ma aggiungendo una postilla: su frodi e conflitti di interesse l’Ue non può intervenire direttamente. E’ una “responsabilità delle autorità italiane” ed esiste “un accordo con l’Italia sulla necessità di avere un sistema di controlli efficace per quanto riguarda la spesa dei fondi del Pnrr.

Parole che rischiano di aprire un nuovo fronte di tensione nella già complicata trattativa tra Roma e Bruxelles sul Pnrr. Anche perché la risposta di Palazzo Chigi è stata netta. “Le proposte” sulla Corte dei Conti “non modificano quanto già concordato tra Commissione europea e Governo italiano e la disciplina dei controlli della Corte, istituita dal governo Draghi, “non solo resta in vigore ma viene pienamente attuata”, è la linea di Palazzo Chigi. L’intervento “è rispettoso della Costituzione, delle prerogative della Corte dei conti, improntato alla leale collaborazione tra le istituzioni”, prosegue la nota rimandando ai pareri di alcuni costituzionalisti negli ultimi giorni: Sabino Cassese, Cesare Mirabelli e Giancarlo Coraggio. Nella nota il governo ha ribadito anche un altro concetto: l’istituzione del tavolo di confronto concordata con la Corte dei Conti al termine di un “lungo, cordiale e proficuo” incontro.

Eppure, i magistrati contabili sono tornati ad esprimere tutta la loro “preoccupazione” per la doppia mossa dell’esecutivo: lo stop al controllo concomitante e la proroga dello scudo erariale. “Protrarre l’esclusione della responsabilità per colpa grave commissiva pone rilevanti dubbi di costituzionalità e di compatibilità con la normativa eurounitaria e genera un clima di deresponsabilizzazione, che non rafforza, ma depotenzia, l’efficacia dell’azione amministrativa”, è stata la posizione espressa dall’Associazione magistrati della Corte dei Conti.

Il governo va per la sua strada. Lunedì, sul decreto Pa che contiene l’emendamento sulla Corte dei Conti potrebbe anche essere posta la fiducia alla Camera. Una volta approvato il decreto passerà all’esame del Quirinale. E, in ogni caso, potrebbe complicare il negoziato con l’Ue sul Pnrr. L’ok della Commissione alla terza rata del Piano continua a non vedere la luce. E all’orizzonte la trattativa per il nuovo Pnrr modificato – con l’aggiunta del RepowerEu – si preannuncia difficile. Sia per la portata delle modifiche che Roma potrebbe chiedere (inclusi alcuni target legati al Superbonus) sia per la tempistica: se il negoziato iniziasse dopo l’estate a rischio ridimensionamento non sarebbe solo la rata di giugno ma anche quella dicembre, entrambe basate su un Piano ormai vecchio, si ragiona in ambienti comunitari (2 giugno).

Varsavia, 500mila in piazza contro il governo di destra

Varsavia, 500mila in piazza contro il governo di destra – Photo by Wojtek Radwanski / AFP

Roma (ANSA) – Centinaia di migliaia di polacchi sono scesi oggi in strada per protestare “contro il carovita, le menzogne del potere e la corruzione” e, in vista delle elezioni politiche del prossimo autunno, a favore di “una Polonia democratica, tollerante, ed europea”. “La prima cosa da fare per iniziare la strada verso la vittoria è fare i conti per sapere quanti siamo”, ha detto loro lo storico leader di Solidarnosc Lech Walesa, primo presidente democraticamente eletto della Polonia e premio Nobel per la pace, nel discorso di avvio della marcia. E i conti li hanno poi fatti gli organizzatori e il municipio della capitale: mezzo milione di partecipanti, probabilmente il numero più alto dalla fine del comunismo, dopo la svolta democratica del 1989.

A chiedere ai polacchi di scendere in piazza è stato Danald Tusk, premier della Polonia tra il 2007 e il 2014, nonché presidente del Consiglio europeo tra il 2014 e il 2019, diventato ora il leader del maggiore partito di opposizione. In questi giorni Tusk sembra essere più che mai nel mirino dal partito conservatore di Jaroslaw Kaczynski, al governo, che ha voluto una legge, già accolta dal parlamento, che non a caso viene chiamata dai media ‘lex Tusk’. Si tratta di un testo che mira ad escludere dalla vita pubblica gli esponenti politici responsabili delle “influenze russe” sulla sicurezza interna polacca fra gli anni 2007 e 2022. Il presidente Andrzej Duda l’ha firmata la settimana scorsa salvo poi – in seguito ad aspre critiche, a cominciare da quelle del presidente americano Joe Biden e del Parlamento europeo – fare macia indietro, presentando una serie di emendamenti.

“Questo è il mio giuramento di fronte a voi: vi guiderò alla vittoria” alle prossime elezioni, ha detto Tusk alla folla al temine della manifestazione, riunita infine nella Piazza del Castello reale, con centinaia di bandiere polacche e europee. L’ex premier si è anche impegnato per “una resa dei conti” sostenendo che la manifestazione di oggi ha dato nuova speranza alla società polacca “nonostante le divisioni seminate dal potere negli ultimi anni”. Il 4 giugno la Polonia celebra la Giornata della libertà e dei diritti civili, poiché è l’anniversario delle prime elezioni parzialmente libere seguite dalla sconfitta del comunismo in Europa. Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha criticato le proteste, paragonandole ad a un “circo” e affermando che lo fa “un po’ ridere quando le vecchie volpi che sono in politica da anni organizzano una marcia antigovernativa e la presentano come una protesta civica spontanea” (4 giugno).

Stoltenberg da Erdogan, ‘ora la Svezia nella Nato’

Roma (ANSA) – “La Svezia ha adempiuto ai suoi obblighi” nei confronti della Turchia. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, volato in Turchia per incontrare e complimentarsi con il presidente Recep Tayyip Erdogan, fresco del suo terzo mandato, ha cercato di rassicurare il sultano sulle mosse del Paese scandinavo nel tentativo di sbloccare il veto di Ankara che da tredici mesi sta congelando l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza atlantica, rimproverandole una certa clemenza nei confronti dei militanti curdi che ospita sul suo territorio.

“È tempo che avvenga prima del vertice di Vilnius” dell’11 e 12 luglio, quando si incontreranno i 31 capi di Stato e di governo della Nato, ha indicato Stoltenberg che ha annunciato la creazione di un “meccanismo permanente” tra l’Alleanza e la Turchia e un prossimo incontro “il 12 giugno”, senza però precisare dove si terrà.

“La Svezia ha compiuto passi concreti significativi per soddisfare le preoccupazioni della Turchia” legate all’asilo politico concesso da Stoccolma ai membri del partito curdo armato Pkk, ha evidenziato il norvegese, ricordando come negli ultimi mesi il governo svedese abbia “modificato la Costituzione nazionale, posto fine all’embargo sulle armi e rafforzato la cooperazione contro il terrorismo, anche contro il Pkk” (4 giugno).

Gli inviati Ue-Usa per i Balcani a Belgrado e Pristina il 5-6 giugno

Belgrado (ANSA) – Gli inviati speciali per i Balcani occidentali di Ue e Usa, Miroslav Lajcak e Gabriel Escobar, saranno in missione a Belgrado e Pristina il 5 e 6 giugno prossimi con l’obiettivo principale di placare le nuove tensioni interetniche tornate a salire nel nord del Kosovo. Intanto il premier premier kosovaro Albin Kurti ha specificato che le condizioni per nuove elezioni nel nord del Kosovo sono la fine delle “proteste violente davanti ai municipi” di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok, e la piena attuazione dell’accordo concluso di recente in sede negoziale a Bruxelles. Kurti, che ha giustificato l’intervento della polizia e delle truppe Kfor a difesa delle istituzioni democratiche, ha definito eccessive le critiche della comunità internazionale alla dirigenza di Pristina, in particolare da parte di Ue, Usa e Quint.

A chiedere nuove elezioni al nord, con la partecipazione della locale popolazione serba, unitamente all’avvio dei preparativi per la creazione della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo, è stato ieri l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell, minacciando in caso contrario ‘gravi conseguenze’ per le relazioni con Pristina. Oggi lo stesso Kurti, intervenendo a una seduta straordinaria del parlamento del Kosovo dedicata alla situazione nel nord e alle nuove forti tensioni interetniche, ha ribadito la legittimità dei nuovi sindaci di etnia albanese eletti il 23 aprile, e la condanna delle proteste violente dei serbi, che con il boicottaggio del voto si sono assunti la loro responsabilità per l’esito della consultazione, svoltasi in modo regolare e democratico (2 giugno).

Questa raccolta è una selezione editoriale basata sulla copertura europea dell’ANSA. La responsabilità editoriale di questa pubblicazione è dell’ANSA. Viene pubblicata il lunedì e il giovedì.