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Bruxelles (ANSA) – La Commissione europea ha adottato la comunicazione di orientamento per la riforma della governance economica. Nella proposta non si dice addio alle soglie del 60% del debito sul pil e del 3% per il deficit. Il nuovo iter prevede però che la Commissione indichi agli Stati eventuali aggiustamenti di bilancio richiesti da raggiungere nell’arco di quattro anni (estendibili di 3 anni). Gli Stati presenteranno quindi dei piani per arrivarci, decidendo e prendendo impegni su riforme prioritarie e investimenti. I percorsi individuali saranno quindi vidimati dall’Esecutivo e approvati dal Consiglio. A quel punto una sola voce sarà monitorata regolarmente a Bruxelles: la spesa primaria netta.

Per i Paesi più indebitati come l’Italia i piani a 4 anni dovranno garantire un percorso di spesa con una traiettoria plausibile di riduzione del debito a dieci anni. Scomparirà l’idea che i Paesi ‘cicala’ debbano ridurre ogni anno di un ventesimo il debito eccedente la soglia del 60%, mentre resta, in versione rafforzata, la procedura di infrazione per deficit oltre il 3%. Ci saranno sanzioni finanziarie, lievi ma più probabili, e ‘reputazionali’. Senza misure di correzione del deficit potrà scattare la sospensione dei finanziamenti europei. L’idea è di “mettere finalmente sullo stesso piano crescita e stabilità”, con una discesa sostenibile e realistica del debito, ha detto il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni.

L’Esecutivo europeo guarda ora al primo trimestre per la proposta legislativa, ma il percorso sembra già in salita. Dalla Germania il ministro delle Finanze Chrstian Lindner ha replicato di vedere “spazio per la discussione. Un’unione monetaria ha bisogno di regole di bilancio unitarie”. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti prevede sulla proposta per il nuovo Patto una “difficile negoziazione”: “Alcuni la riterranno come noi eccessivamente ossessiva nei confronti dei Paesi sovraindebitati, altri come i nordici la troveranno lasca”. Tra i ‘frugali’, per l’Olanda la ministra delle Finanze Sigrid Kaag ad esempio ha già sottolineato che “una maggiore titolarità nazionale deve essere accompagnata da una supervisione efficace” (9 novembre).

L’ira di Parigi su Roma, ‘Tutti fermino i ricollocamenti’

Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, annuncia di aver sospeso l’accoglienza prevista di 3.500 rifugiati attualmente in Italia in segno di protesta – Photo by VINCENZO CIRCOSTA / AFP

Parigi (ANSA) – Il caso della nave Ocean Vikings, che sarà accolta venerdì a Tolone dopo il rifiuto di un porto sicuro da parte dell’Italia, scatena l’ira di Parigi su Roma. Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, annuncia di aver sospeso l’accoglienza prevista di 3.500 rifugiati attualmente in Italia in segno di protesta. Quindi invita “tutti gli altri partecipanti” al meccanismo di ricollocamento, “in particolare la Germania”, a sospendere l’accoglienza. Tra le misure di ritorsione contro l’Italia, la Francia assumerà delle misure di “rafforzamento dei controlli alle frontiere” con l’Italia, ha poi annunciato il ministro francese, aggiungendo che Parigi “trarrà tutte le conseguenze” dell’atteggiamento italiano anche sugli altri aspetti della “relazione bilaterale” tra i due Paesi.

“Quello che stiamo osservando nel Mediteranno ci fa vedere che abbiamo bisogno di cooperazione fra Stati europei”, ha detto un portavoce dell’Esecutivo europeo, sottolineando la necessità di “avanzare sul patto sulla migrazione: la Commissione è qui per aiutare, non vogliamo addossare la colpa a uno Stato o all’altro”. Ieri la Commissione aveva chiesto lo sbarco immediato, nel più vicino luogo di sicurezza, di tutte le persone soccorse dalla Ocean Viking.

Intanto proseguono gli sbarchi a Lampedusa. A bordo di un barchino soccorso nella notte anche il cadavere di un neonato. Quanto avvenuto “purtroppo testimonia che le traversate andranno interrotte al più presto – ha commentato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi -. Molto spesso si fraintende che tutta l’azione, da più parti dispiegata, per cercare di arrestare questi traffici, sia orientata non si sa da cosa, in realtà è perché questa situazione non è sostenibile” (10 novembre).

Energia, il j’accuse di Michel a von der Leyen: ‘non agire non è più un’opzione’

Bruxelles (ANSA) – “Non agire non è più un’opzione. Non si può più calciare la lattina più in là per strada”. Charles Michel, il 7 novembre, aveva scritto nero su bianco che, sul capitolo energia, la Commissione e Ursula von der Leyen non possono più tentennare. Al Parlamento europeo riunito in mini-plenaria a Bruxelles, il numero uno del Consiglio lo ha ripetuto. Rinvigorendo le ruggini che, dal celebre ‘sofa-gate’ di Istanbul, hanno segnato il rapporto tra i due vertici delle istituzioni europee.

Il j’accuse di Michel fa seguito alla sollecitazione che il presidente del Consiglio Ue aveva diretto alla numero uno dell’esecutivo europeo alla fine dell’estate, trovando peraltro sulla stessa linea diversi Paesi membri, Italia su tutti. Ma questa volta Michel ha scandito il suo avvertimento davanti a decine e decine di eurodeputati, in occasione delle comunicazioni sulle conclusioni del Consiglio europeo di fine ottobre. Von der Leyen, in prima fila, ha assistito all’intervento con aria visibilmente contrariata. E dopo essere intervenuta anche lei, si è trattenuta molto meno del previsto, lasciando l’Eurocamera senza fare la replica.

Dal canto suo, la presidente della Commissione aveva intavolato una linea di difesa. “Alcuni temevano un blackout in Europa quando è iniziata la guerra ma siamo completamente preparati per l’inverno. E soprattutto, i prezzi del gas sono scesi di circa due terzi rispetto ad agosto. Tutti noi abbiamo fatto la nostra parte e possiamo esserne orgogliosi”, ha spiegato. Ma, evidentemente, non è bastato. Nella replica Michel ha rincarato la dose: “il ‘troppo poco e troppo tardi’ non è più un’opzione, c’è un mandato del Consiglio europeo, abbiamo bisogno delle proposte legislative” (9 novembre).

Bruxelles offre un piano da 18 miliardi per Kiev, Orban frena

Bruxelles (ANSA) – La Commissione europea propone un nuovo strumento di assistenza macrofinanziaria (MFA+) per finanziare l’Ucraina nel 2023 per un totale di 18 miliardi di euro. Il pacchetto offre “un’elevata flessibilità e condizioni molto favorevoli per l’Ucraina, tenendo conto della situazione attuale del Paese”. I fondi saranno erogati “attraverso prestiti altamente agevolati, da rimborsare in un periodo massimo di 35 anni, a partire dal 2033”. L’Ue propone anche di coprire i costi dei tassi di interesse dell’Ucraina, attraverso ulteriori pagamenti mirati da parte degli Stati membri al bilancio dell’Ue.

Il ministro delle Finanze ungherese, Mihály Varga, è stato chiaro con i colleghi europei: “Siamo pronti ad aiutare Kiev su base bilaterale ma ci opporremo al debito comune, anche perché abbiamo avuto una cattiva esperienza con i prestiti targati Ue”. Il riferimento è al Recovery (Pnrr), ancora bloccato da Bruxelles a causa delle mancanze di Budapest. Sulla questione si tornerà più avanti, perché il MFA+ prevede tre atti legislativi, due dei quali con procedura di maggioranza qualificata e uno, la modifica del budget pluriennale dell’Ue, in cui serve invece l’unanimità.

“L’Ucraina – ha spiegato il vicepresidente Valdis Dombrovskis – ha bisogno di finanziamenti stabili e prevedibili” e l’esperienza di quest’anno ha mostrato tutti i “limiti” dello strumento attuale. Non a caso dei nove miliardi promessi entro fine anno ne verranno sborsati solo sei e gli altri tre, probabilmente, finiranno in cavalleria (9 novembre).

Raggiunto l’accordo sul taglio delle emissioni di gas serra, per l’Italia il target è del 43%

Entro il 2030 l’Italia dovrà ridurre le emissioni di gas serra di agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria del 43,7% rispetto al 2005 – Foto: Philippe Desmazes/AFP/dpa

Bruxelles (ANSA) – Al termine di un lungo trilogo, Consiglio e Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sugli obiettivi di riduzione delle emissioni più stringenti per gli Stati membri nell’ambito del cosiddetto regolamento sulla condivisione degli sforzi. In attesa di un’adozione formale, l’accordo provvisorio stabilisce un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra a livello europeo del 40% rispetto al 2005, per i settori non coperti dal sistema di scambio di quote di emissioni dell’UE (Ets), ossia il trasporto marittimo su strada e nazionale, gli edifici, l’agricoltura, i rifiuti e le piccole industrie.

Entro il 2030 l’Italia dovrà ridurre le emissioni di gas serra di agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria del 43,7% rispetto al 2005. Il target nazionale attuale è del 33%. Il contributo più basso è della Bulgaria (10%), il più alto della Svezia (50%). Secondo l’intesa, che dovrà ora essere approvata da Europarlamento e Consiglio, la combinazione degli sforzi di riduzione a livello nazionale dovrà consentire un taglio delle emissioni che a livello Ue sarà del 40%. Una revisione degli obiettivi è prevista nel 2025 (9 novembre).

Questa raccolta è una selezione editoriale basata sulla copertura europea dell’ANSA. La responsabilità editoriale di questa pubblicazione è dell’ANSA. Viene pubblicata il lunedì e il giovedì.