Bruxelles – L’ultima proposta del Governo per convincere i suoi partner europei a consentire il riconoscimento del catalano, dell’euskera e del galiziano come lingue ufficiali nell’UE prevede la loro ufficialità a partire dal 2027, sebbene con un’implementazione parziale, poiché a partire da quella data verrebbero tradotti solo i regolamenti del Consiglio e del Parlamento Europeo di tutta la legislazione comunitaria, il che nella scorsa legislatura ha rappresentato meno del 3% di tutti gli atti giuridici.
Così, l’offerta sul tavolo dei 27, secondo quanto appreso da Europa Press, propone una modifica del quadro linguistico per ampliare il paracadute alle tre lingue co-ufficiali a partire dal 2027. La riforma includerebbe una “abrogazione” immediata per cui le istituzioni dell’UE non saranno obbligate a redigere tutti i loro atti legislativi né a pubblicarli nella Gazzetta Ufficiale dell’UE in catalano, euskera e galiziano. I Ventisette dovranno affrontare al più tardi entro un periodo di quattro anni la revisione dell’abrogazione per decidere se porre fine alla stessa e ogni cambiamento sarà deciso nuovamente all’unanimità.
La proposta precisa che questo freno non influenzerà i regolamenti, cioè le norme che, a differenza di altri atti giuridici come le direttive, sono di applicazione diretta in tutta l’UE e non necessitano di trasposizione nazionale. Secondo le statistiche dell’UE, nella scorsa legislatura, sono stati trattati un totale di 12.065 atti giuridici di cui il 2,6% (316) erano regolamenti.
Inoltre, per superare le riserve dei paesi con dubbi sui costi della riforma, il Governo aggiunge una dichiarazione in cui afferma che sarà la Spagna a farsi carico di tutti i costi dell’ufficialità del catalano, dell’euskera e del galiziano, sebbene al momento non fornisca una cifra su quanto ciò comporterebbe. Questo impegno figura come un considerando, rispetto al quadro attuale, che stabilisce che l’ufficialità è a carico delle casse comunitarie.
In assenza di un piano dettagliato su come applicare nella pratica il passaggio da 24 a 27 lingue ufficiali, la Spagna sottolinea che “nei prossimi mesi” e “prima che venga applicato l’accordo” si coordinerà con le istituzioni dell’UE per presentare al Consiglio una proposta delle risorse materiali, tecniche e umane necessarie per “non applicare o ridurre gradualmente” l’abrogazione prevista nel regolamento per ciascuna delle tre lingue.
Decisione all’unanimità il 27 maggio
La questione rimane all’ordine del giorno come punto per “adozione” nel Consiglio dei ministri degli Affari Generali dell’UE di martedì 27 maggio, sebbene si tratti di una riforma che richiede l’unanimità degli Stati membri e solleva dubbi legali e finanziari non risolti per diverse delegazioni, secondo quanto indicato a Europa Press da diverse fonti diplomatiche.
In questo contesto, il Governo ha presentato agli ambasciatori mercoledì scorso un documento più dettagliato rispetto a quelli circolati da quando la Spagna ha presentato la richiesta per la prima volta a settembre 2023, con l’unica richiesta di modificare il regolamento sulle lingue per includere le tre co-ufficiali in Spagna. Ora, la richiesta continua a non raccogliere i sostegni sufficienti, ma il Governo ha aumentato la pressione sulle capitali, secondo un alto diplomatico europeo, che riconosce che la questione è “molto sensibile” e trascende le negoziazioni a Bruxelles.
L’unanimità richiede che nessun paese si esprima contro, ma l’astensione delle delegazioni non impedirebbe che venga presa una decisione; non è nemmeno definitivo che si procederà alla votazione poiché c’è margine per modificare l’agenda in corso d’opera.
Specificità del caso spagnolo
Il testo presentato, secondo quanto appreso da Europa Press, non menziona l’idea di iniziare con l’ufficialità del catalano e rimandare a più tardi quella dell’euskera e del galiziano, come proposto dal Governo in una fase precedente di negoziazione, e propone un’altra forma di progressione: iniziare con la traduzione dei regolamenti a partire dal 1 gennaio 2017 e rimandare a una revisione successiva, nel 2031, se modificare l’abrogazione riguardo al resto della documentazione.
Nei primi dibattiti a livello tecnico e tra ambasciatori, la proposta spagnola ha urtato contro l’opinione negativa dei servizi giuridici del Consiglio, che hanno espresso oralmente i loro dubbi riguardo alla base giuridica di una riforma nei termini in cui viene proposta, secondo quanto confermato da fonti europee. Tuttavia, il parere negativo del servizio legale non impedisce una decisione dei Ventisette.
La mancanza di una valutazione d’impatto sui costi e sulle implicazioni pratiche e legali della riforma richiesta dalla Spagna è stata finora uno dei principali ostacoli per circa una decina di paesi che hanno espresso dubbi nei dibattiti preparatori, inclusi Francia e Italia per il loro impatto finanziario e su come chiarire che sarà la Spagna a farsi carico del costo.
Nel dicembre 2023, la Commissione Europea ha offerto una stima di 132 milioni di euro all’anno (44 milioni per lingua) ma ha avvisato che si trattava di un calcolo molto preliminare basato unicamente sull’esperienza precedente del gaelico. Nel caso del gaelico, l’Irlanda ha richiesto la sua inclusione nel 2005 ed è stata adottata nel 2007, sebbene non abbia ottenuto il suo status pieno fino al 1 gennaio 2022 perché Dublino ha richiesto un’applicazione graduale a causa della difficoltà di tradurre tutti i documenti in gaelico.
Non piace nemmeno a paesi come quelli baltici, con minoranze linguistiche russe, il rischio di aprire la “scatola di Pandora” e che questo cambiamento crei un precedente che li impegni in seguito. A queste paure, il Governo insiste sulle specificità del caso spagnolo e delle sue lingue co-ufficiali, raccolte nella Costituzione, fin dal prima della sua entrata nell’UE, e di uso sia nel Congresso che nel Senato.
Un altro argomento di peso è che la Spagna ha tradotto anni fa i Trattati nelle tre lingue co-ufficiali e che già traduce in esse gran parte della sua legislazione, incluso nel trasporre la normativa comunitaria.
Inoltre, propone che in una dichiarazione allegata alla riforma del regolamento il Consiglio stabilisca che ogni futura richiesta di un’altra lingua “sarà valutata caso per caso e dovrà soddisfare criteri rigorosi”, tra cui che sia storicamente originaria del paese che la richiede e che il suo status sia riconosciuto nella Costituzione dello Stato membro per almeno due decenni. (23 maggio)