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Bruxelles (ANSA) – L’Ucraina è il caso più emblematico e sensibile. Ma non è il solo. Budapest, con i suoi veti, ormai sta paralizzando la politica estera dell’Unione Europea – si fanno gli esempi della Georgia, dell’Armenia, persino di Gaza – e la stanchezza, al Consiglio Affari Esteri, si è trasformata in aperta ostilità, c’è chi dice per la prima volta. “Abbiamo avuto una discussione animata, le legittime obiezioni nazionali devono essere proporzionali: gli aiuti militari a Kiev non possono essere presi in ostaggio da altre questioni”, ha commentato l’alto rappresentante Josep Borrell confermando le indiscrezioni trapelate dalla sala consigliare.

Al centro dello scontro l’opposizione di Budapest ad erogare i finanziamenti – 5 miliardi di euro – del nuovo Fondo per l’Ucraina, creato all’interno del Fondo Europeo per la Pace (Epf). Oltre che tre tranche di rimborsi da 500 milioni ciascuna, per un totale di 6,5 miliardi. “La posizione ungherese sta diventando apertamente pro-russa, non si può più parlare di approccio transazionale” spiega all’ANSA una fonte bene informata. “Serve trovare una soluzione pratica”, dice, sollevando l’ipotesi di una ‘investitura’ del Consiglio Europeo. Il primo luglio la presidenza di turno passerà all’Ungheria e diversi Stati membri temono che i dossier più spinosi possano finire su un binario morto.

La ministra tedesca degli Esteri, Annalena Baerbock, ha intimato apertamente all’Ungheria di “rimuovere il veto”, sottolineando che “l’Europa è forte quando è unita”. “Siamo contrari al veto, vogliamo avanzare”, le ha fatto eco il ministro italiano Antonio Tajani. Ma Budapest punta i piedi e annuncia il veto al 14esimo pacchetto sanzioni perché contrario agli “interessi energetici nazionali”. Il lituano Gabrielius Landsbergis ha calcolato che “il 41% delle decisioni collettive” dell’Ue sull’Ucraina è stato bloccato da Budapest. “Sul Fondo di assistenza per Kiev ho sette atti legislativi fermi ed è un ritardo che si conta in vite umane”, ha stigmatizzato Borrell (27 maggio).

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